domenica 16 marzo 2008

superba umiltà

Rosetta inforca la bicicletta. Pedala velocemente. mancano dieci minuti alle otto e come ogni mattina vuole essere puntuale. Ormai sono tre mesi che lavora dalla Signora Luciana. E' diventata una colf. Non è il suo lavoro, anzi lo detesta quell'impiego. Lei è sempre stata segretaria in una grande azienda, ma poi, il licenziamento, la necessità l'hanno costretta ad accettare quella mansione che considera deleteria per la sua mente. E' sempre stata abituata ad usare più che il corpo, il cervello. Ora, per quel nuovo lavoro, non le si richiede alcuno sforzo cerebrale. Deve solo pulire.

Queste sono le riflessioni che l'accompagnano ogni giorno, mentre spolvera, lucida, lava e stira cose non sue.

La sua fatica ha un unico fine: quello di sfamare sé stessa e la propria famiglia. Non c'è sfinimento, soddisfazione intellettuale. La sua mente si sta atrofizzando. Le sue mani, ora ruvide, non scrivono emozioni ma solo lista della spesa. Non più "amore, cuore, passione" ma "pane, latte, formaggio".

Per Rosetta tutto questo è una grande sofferenza. Si rende conto che si sta concretizzando il suicidio del suo interiore.

Ha deciso. Si ribellerà. E così, Rosetta ha imparato a bluffare. Ogni mattina, nasconde nella tasca del grembiule, un piccolo taccuino e una biro. Lassù, nella mansarda di Giacomo, il figlio della Signora Luciana, Rosetta anziché pulire a fondo, si siede sulla moquette, la schiena contro l'armadio e scrive tutto quello che serba dentro di sé. L'orecchio sempre vigile ad ogni rumore al piano sottostante. Appena percepisce il pericolo, nasconde velocemente carta e penna in tasca e riprende a pulire. Quando invece è il turno del salone, dove ci sono due grandi biblioteche stracolme di libri di ogni genere, si nasconde in un angolo e, in piedi, con la scopa appoggiata al fianco, legge. Lì tra l'odore della cultura, rinasce.


Sa che sta imbrogliando, sa che non rispetta le regole, sa che corre il rischio di essere licenziata, ma sa anche che il suo comportamento è indispensabile per la sua salute mentale e fisica. Solo così riuscirà a sopravvivere.

E' mezzogiorno. Nonostante il suo inganno, Rosetta lascia sempre la casa della sua "padrona" pulita e in ordine. La Signora Luciana è soddisfatta di Rosetta anche se non glielo dice mai. E' proprio una brava collaboratrice. Una donna fidata, precisa, puntuale, riservata, discreta, educata, sa trattare con gli ospiti e nei giorni nei quali il telefono non smette di squillare, le fa' pure da segretaria. Questi benevoli commenti nei suoi riguardi, Rosetta li ha uditi, di nascosto, ma le sono rimasti indifferenti.

La Signora Luciana è una persona che conta in quella piccola comunità. La sua è una casa importante, ricca e Rosetta è proprio la persona adatta per la sua riservatezza e sicurezza. Non come le precedenti colf che raccontavano ogni movimento della casa e della famiglia Brambilla. Sì perché Luciana è la moglie di Ambrogio Brambilla, l'industriale lombardo, il re del sapone.

Rosetta di tutta questa importanza e ricchezza non scorgeva nulla. Per lei la casa e la famiglia Brambilla non sono altro che pavimenti, lenzuola e camicie da lavare. Non è altro che la fonte del suo guadagno.

Al termine del suo lavoro, Rosetta inforca nuovamente la bicicletta e pedalando verso casa, sente il benefico vento che le viene incontro, le rallenta la corsa ma a lei fa' piacere. Quell'aria le spazza via dal corpo la fatica e l'umiliazione di quel lavoro che lei tanto detesta. Quella è l'ora nella quale tutte le colf del vicinato fanno ritorno alla propria casa. Si conoscono tutte. Si salutano. Si scambiano innocenti confidenze sui rispettivi titolari. Rosetta quasi sempre tace non per rispetto verso i Signori Brambilla, ma semplicemente perché lei dei Signori Brambilla non sa che dire. Per lei sono solo mobili e tappeti da spolverare. Osserva attentamente le altre domestiche e si sente in colpa di denigrare, odiare così tanto quella loro fatica che ora è anche la sua. Ha imparato che ogni lavoro è dignitoso e che nessun impiego è così umiliante da essere scartato. Ma lo pensa veramente? No. Non lo pensa. Per lei quel lavoro è sofferenza.

Finalmente è nella propria casa e contrariamente a quel che ci si aspetta da una colf, quella casa non è ordinata, non è estremamente pulita. "Al limite del colera" scherza con sé stessa quando guardando quel disordine, lo confronta con il lindore lasciato alla famiglia Brambilla.

"Rosetta, questa è la tua casa. Non credi che tu debba trattarla meglio di quella degli altri?" La sua coscienza spesso si fa' viva, ma lei, Rosetta, non sempre le da' ascolto. C'è un ulteriore moto di ribellione dentro di lei, sempre verso quel lavoro che non sente suo e non riesce ad accettare.

"No. Io non sarò mai la colf di me stessa"

Io non abito qua

Anche l'ultimo maglione è stato infilato nella valigia. Poche cose, come se dovesse partire per un fine settimana qualsiasi.
Qualche briciola di intimità accompagnata da una gonna, un pantalone, tre maglioni, i suoi libri preferiti e il suo immancabile quaderno dove scrivere i propri improvvisi pensieri.
E' fine marzo, la primavera è già iniziata ma la temperatura è ancora rigida. Il tepore non si decide a far capolino. E' una giornata fredda, proprio come è freddo il suo cuore.
Il taxi è finalmente arrivato. Si infila in fretta il cappotto, i guanti e il cappello, prende la valigia e più per abitudine che per necessità, da' un ultimo sguardo alla propria casa per essere sicura di non aver dimenticato qualche fornello o luce accesi.
I piani da scendere sono tre, ma non prende l'ascensore. Vuol ritardare la partenza. E' stranamente restia a quella fuga che ha desiderato, programmato e valutato per molti mesi.
Un gradino, due gradini, tre gradini ... era il gioco preferito di Federico, il suo cucciolo.
Federico, suo figlio, l'ingegnere come scherzosamente lo chiamano in casa. Da un anno Federico ha scelto la propria e giusta vita in completa indipendenza. Ed è proprio da questa assenza, da questo vuoto fisico lasciato da Federico che Lisa ha deciso di mollare tutto.
Senza Federico, lei ed Andrea non hanno più nulla da dirsi. Non c'è più motivo nemmeno per litigare.
Un tempo era diverso, ma Andrea non ha colpe. Andrea non è mai cambiato. Andrea è sempre stato come lo ha conosciuto. Lisa invece no.
Lei è cambiata. Non è più la donna con poche aspettative, la donna che si accontentava di vivere nell'ombra di un uomo che la ama ma che non la illumina.
Cinque gradini...ecco proprio qui Federico è caduto. Lo ricorda come fosse appena accaduto. Il suo frugoletto aveva soli tre anni, si divertiva a contare i gradini scendendo saltando. Al quinto gradino a Lisa era scivolata la mano, non era riuscita a trattenerlo e il ruzzolone è stato inevitabile. Ricorda la ferita alla gamba, il sangue e le grida di Federico. Ora sorride , ma quanta paura!
Ecco lì il taxi che l'accompagnerà alla sua nuova casa.
Ha faticato molto a sceglierla. L'ha voluta che rispecchiasse appieno la propria personalità. Semplice, pulita, luminosa ed accogliente.
Uno sguardo istintivo alla casella delle lettere. C'è posta ma non per lei. Ormai nulla è per lei in quella casa.
"Via Felice Cavallotti 28". Il taxi parte, prende velocità, percorre quella zona conosciuta, ecco lì andava con Federico nei pomeriggi, dopo la scuola. Lì in fondo c'è il gelataio. C'è anche la panchina con lo schienale rotto dove lei ed Andrea sedevano a gustarsi il gelato, panna e cioccolata per lei, fragola e limone per lui. Era la loro alcova. Lì avevano imparato a conoscersi, lì si erano dichiarati grande amore.
Largo Giotto, Via Pisacane, Via Pascoli. Al numero 20 c'è ancora l'insegna del suo ginecologo. Qui lei ed Andrea hanno pianto dall'emozione quando hanno ascoltato per la prima volta il battito del cuoricino di Federico.
"Si fermi...accosti..." è una supplica che Lisa lancia al taxista. Sì ha visto bene. Lì sul muro è rimasta anche se sbiadita la scritta "Lisa and Andrea forever". Forever...chi può permettersi di ipotecare i propri sentimenti?
Risale sul taxi. "Prosegua ma non corra...non ho fretta". E' stanca Lisa, molto stanca. I ricordi la stanno soffocando, vogliono di nuovo impossessarsi del suo cuore. E' combattuta. Non vuol cedere alla malinconia. Altre volte ha rinunciato a sé stessa per paura di soffrire. Questa volta non cederà, ma...
"Eccoci arrivati!"
"Mi riporti indietro, a casa mia...io non abito qua. Veloce, corra, ho fretta!"
Eccola di nuovo sola in casa, giusto in tempo per riporre le quattro cose che prima riempivano la valigia, giusto in tempo per sentire la chiave nella toppa della porta. Ecco, Andrea, puntuale come sempre, è tornato dal lavoro.
Gli corre incontro. "Mi sei mancato da morire!"
"Ben tornata amore mio!"

Domani non si replica

La sala è gremita. Il vocio degli astanti sovrasta i preparativi sul palcoscenico. Ecco, ora tutto è pronto. Si abbassano le luci. Il silenzio cala tra gli spettatori. Un unico fascio di luce illumina un microfono lì, fermo, immobile al centro di quello spiraglio argentato, in attesa dell'apparizione della protagonista della serata.
Un sottofondo musicale emerge dal silenzio. E' la sonata per violino di Schindler's list.
La musica avvolge l'attesa, la rende soave. Ora la protagonista può entrare. Eccola, splendida nella sua nudità virginea:il volto segnato dalla vita, lo sguardo ricco di nostalgia, il corpo asessuato.
La sua voce è forte, penetra nell'anima, giunge diretta al cuore. La lingua che parla non ha confini.
E' lei. E' la GIUSTIZIA.

"Eccomi. So che mi avete cercata in ogni angolo della terra. So che mi accusate di essere invisibile, impalpabile. So che sospettate che io abbia più vite parallele. Eppure io non sono mai fuggita, non mi sono mai nascosta. Siete voi che mi scacciate, che mi occultate. Ogni giorno piangete la mia morte, ma io esisto, io vivo! Siete voi che non udite , non vedete perché mi temete. Poi fuggite la mia verginità per paura di essere voi stessi contaminati.
Io, la Giustizia, vi spavento perché non mi conoscete, non volete conoscermi.
Sono stanca, molto stanca, vi prego, vi supplico...non lasciatemi morire. Liberatemi dalle vostre paure, innalzatemi nei vostri cortei, nei vostri tribunali, nei vostri regni.
Non lasciate che io muoia perché la mia fine sarà anche la vostra!"
Lentamente la Giustizia se ne esce di scena.
Le luci si riaccendono. La sala è vuota. Nessuno è rimasto. Nessuno ha voluto ascoltare.
Domani non si replica!

Se fossi uno scrittore

Se fossi uno scrittore scriverei la storia di una penna e di un calamaio dimenticati per molto tempo in un cassetto e chissà perché riportati ad occupare nuovamente il posto d’onore a loro stupidamente a lungo negato. Ora sono lì uno accanto all’altro, tronfi della propria bellezza, spesso corteggiati ma ahimè mai utilizzati, desiderosi di ricominciare il loro bellissimo gioco del donarsi, dell’intingersi per poi trasmettere emozioni attraverso svolazzi, virgole, punti e disegni affidati da una mano amorevole ad una lettera destinata ad un volto lontano. Nostalgici di questa loro complicità fremono, si agitano ed a causa di questi loro movimenti una goccia d’inchiostro viene lanciata nell’aria. Inizialmente questa goccia è impaurita: è la prima volta che rimane sola. Sa che potrebbe essere malvista, essere considerata motivo di sfregio e che potrebbe essere assorbita e cancellata. Tutto ciò però non succede. Decide allora di girovagare in questo mondo dove nessuno più l’apprezza ed in questo suo errare cosmico incontra tanti sogni, tanti pensieri e tante fantasie. Molti sono insignificanti, altri impossibili, ma in un angolo nascosto vede una strana nuvola. Sopra di essa c’è una scatolina con impresso un messaggio: “aprimi. Contengo i sogni segreti di Tiziana: li affido a te. Falli incontrare con altri sogni perché insieme possano toccarsi, accarezzarsi ed amarsi.”. La goccia prende con sé il prezioso contenuto e stando ben attenta a non perdere nulla se lo porta stretto stretto nel calamaio dove lo distribuisce a tutte le altre gocce. Chissà se una mano desiderosa di sognare prenderà quella penna, la intingerà in quel calamaio e goccia dopo goccia con l’aiuto di quell’inchiostro farà vibrare altri sogni, altri calamai, altre penne. Chissà! Se fossi uno scrittore……

L'attesa

Ho visto il tuo volto, il tuo profilo sparire piano piano, mentre ti allontanavi dal mio cuore. Arrivederci mi hai detto, a presto. So che ritornerai da me fra trenta lunghi giorni, mi stringerai a te, mi renderai potente, per poi fuggire e di nuovo ritornare. Ti possiedo per poco, per troppo poco tempo amore mio. Ad ogni tuo arrivo mi riprometto di riuscire a convincerti a rimanere per sempre con me, ma tu sei il più forte, ti lasci attrarre da mille altre tentazioni, ti lasci coinvolgere da golosi ed intriganti richiami. Tu sei nato per essere accarezzato da mille mani: le mie non ti sono sufficienti. Ti mostri ai miei occhi, mi coinvolgi nei tuoi amplessi, ma poi immancabilmente mi abbandoni per altri lunghi giorni: trenta.

Trenta giorni di spasmodica attesa nei quali ti aspetto sognando di poter svaligiare il mondo intero con il tuo fascino, la tua potenza, dimenticando che sei evanescente: al contatto delle mani, sparisci all'istante. Eppure ti amo, ti aspetto ogni giorno, vivo grazie a te

STIPENDIO MIO!

Per amare le parole non servono

"Andavo a cento all'ora per veder la bimba mia...lalalala lalalala" Radio Italia Anni 60. Serena l'ascolta sempre mentre viaggia. Le fa' compagnia, la distende lungo quella interminabile autostrada dove alla sua sinistra sfrecciano bolidi incuranti delle regole e del buon senso.

"Mi ritorni in mente bella come sei...forse ancor di più uh uh uh. Mi ritorni..."

Bianco. Bianco. Solo bianco. Dove si trova? Si sente toccare da mani sicure. Mette a fuoco l'immagine. Due occhi scuri sono sopra di lei. Appartengono ad un uomo che le sorride. Si sente rassicurata. Focalizza, realizza di essere in ospedale e quello è un medico.

Che è successo? L'ultimo ricordo è quel "mi ritorni in mente..." Le raccontano che ha avuto un incidente. Sì, ora ricorda! Lì, improvvisamente, davanti a sé, sull'autostrada, un cane. Ha cercato di schivarlo e l'urto contro il guardrail è stato violento.

"Come sta il cane?" "Si è salvato. Ora è in un canile" Un cane abbandonato come molti altri. Questo però è stato fortunato. Serena ha rischiato la vita per salvarlo e ci è riuscita.

"Lo adotterò io. Lui è solo come me. Lui è stato abbandonato come me. Ci faremo compagnia.

"Fortunello!!...Fortunello!!...Fortunello!!... E' nuovamente sparito! Avrà incontrato Occhi di luna" pensa Serena mentre passeggia lungo il viale del parco ormai in piena primavera. Fortunello, il suo amico cane, ha trovato l'amore, Occhi di luna, una bella e dolce cagnolina.

Il suo cuore si riempie di gioia perché sa che con Occhi di luna ci sarà anche Lorenzo. Lo ha conosciuto proprio lì, fra quei viali. Lorenzo è simpatico, dolce, educato e come lei ama gli animali.

Si sono piaciuti subito. E' stato facile fare amicizia. Stanno bene insieme. Parlano di molte cose, scherzano, si consolano, si supportano. E' bello stare con lui.

Non si sono dichiarati amore ma non è necessario. Lo hanno già fatto con altre donne e altri uomini, in passato, ma di quell'amore dichiarato è rimasto solo il ricordo. Hanno paura di dirsi "Ti amo", temono di perdersi.

Vogliono gioire del loro stare insieme in modo tacito, senza grosse parole, senza promesse, Proprio come Fortunello e Occhi di luna. Basteranno la vista, il tatto, l'olfatto, l'odorato, l'udito.

Per amare, le parole non servono.

Il sogno di Marta

14-02-1970
"Maura sbrigati. E' tardi! Le lezioni iniziano fra un'ora!" E' un rituale quotidiano ormai. Tutti i giorni la stessa esortazione a fare in fretta, a sbrigarsi, a rispettare gli orari. Tutti i giorni la obbligano a far scorrere velocemente il tempo. Lei però non ha fretta. Ha soli 16 anni. Ha tutta una vita davanti a sé. Perché correre, perché rubare i minuti davanti a lei? Maura è lì davanti allo specchio, immobile; guarda la propria immagine riflessa e già vede il proprio futuro.
"Allora...Maura!". L'urlo la smuove dal suo limbo, riprende coscienza. Velocemente entra nei panni della reale quotidianità ed inizia a recitare la parte che le è stata assegnata. Si rende conto che è veramente tardi. Corre alla fermata del tram e come ogni mattina riesce a salirci mentre è già in movimento. Pochi secondi sono sufficienti a ridarle il battito regolare, a riprendere fiato. Il suo corpo è così giovane, così agile...
Li cerca e li scova. Eccoli là in fondo, sulla piattaforma, come sempre abbracciati. Oggi ancora di più di ieri e meno di domani. Valentino e Valentina. non conosce i loro veri nomi, ma per lei sono Valentino e Valentina, i due eterni innamorati.
Tutti i giorni li guarda e tutti i giorni vede sé stessa nei panni di Valentina. Lei, col suo Valentino.
Quando avrà anche lei un amore, un vero amore, potrà abbracciarlo, amarlo proprio come i due innamorati del tram.
Lui la aspetterà ogni mattina alla fermata del tram e lei sarà sempre puntuale. Non indugerà più davanti allo specchio, non ruberà attimi al futuro, sognando, perché il suo futuro è già nel presente. Il suo futuro è Valentino che l'aspetta là, alla fermata del tram. Si abbracceranno, si coccoleranno, seduti, stretti, nella calca mattutina dei lavoratori, degli studenti a loro invisibili. Quando saranno insieme, come per magia, calerà un rispettoso silenzio, tutti si fermeranno. Esisterà solo il loro amore.
Anche quella mattina Valentina e Valentino sono lì a farla sognare.

14-09-1970
"Maura sbrigati...farai tardi a scuola!" E' nuovamente iniziato l'anno scolastico. Solito richiamo, solito risveglio, solito zaino e ...Valentino, Valentina...ci saranno ancora? Maura lo spera.
Eccola nuovamente sul tram. Sì ...eccoli! Ci sono! Valentina...cos'è quel pancione? Valentina...cos'è quel cerchio al dito? SI sono sposati! Valentina sta per diventare mamma.
"Ma io non sono pronto per questo" piagnucola il sogno di Maura. Lei ha soli 16 anni, non sa, non vuole immaginare una vita da grande.
Si sente tradita. Valentina è cresciuta, è diventata donna. E' diventata realtà e Maura invece vuole solo e ancora sognare.